mercoledì 19 febbraio 2014

A Franco Andrea Dal Pino per il suo 94° compleanno



Roma, 2009 - Franco Andrea Dal Pino (a sinistra) con Odir J. Dias in una pausa dalle lezioni del Corso di Storia e Spiritualità OSM.


Poche brevi note non bastano certamente a rendere merito per l’immenso contributo offerto da Franco Andrea Dal Pino per la storiografia dell’Ordine dei Servi di Maria e per la ricerca storica in generale sugli Ordini religiosi. Ma, nell’occasione del suo 94° compleanno,  queste poche note vorrebbero essere un “grazie” da parte di ogni studente o ricercatore che ha avuto la possibilità di conoscerlo e lavorarci insieme.
Storico italiano, Franco Andrea Dal Pino (Viareggio, 19 febbraio 1920) è uno tra i più autorevoli studiosi nel campo della ricerca sugli Ordini religiosi, oltre che figura di riferimento principale per la ricerca nell’ambito dell’Ordine dei Servi di Maria [1].
Ricercatore assiduo e attento, terminati gli studi teologici ha conseguito il Dottorato in Scienze Storiche presso l'Università Cattolica di Lovanio (1946). Come docente di discipline storico-ecclesiastiche ha svolto la sua attività presso la Pontificia facoltà teologica "Marianum" di Roma e le Università della Calabria e di Padova (di cui è professore emerito). Sostenne e riprese a partire dal 1953 la pubblicazione degli Studi Storici dell’Ordine dei Servi di Maria, sospesa nel 1942. A lungo membro dell’Istituto Storico dell'Ordine dei Servi di Maria, con sede in Roma, di cui ha lavorato alla fondazione e nell'ambito del quale ha ricoperto anche la carica di Presidente. È inoltre membro della Società Internazionale di Studi Francescani di Assisi e della Societas Veneta di Padova, di cui è presidente onorario.
Franco Andrea Dal Pino è autore di oltre un centinaio di articoli su riviste scientifiche e atti di convegni, in Italia e all'estero. Solo per citarne alcuni, tra i libri possiamo ricordare Un gruppo evangelico nella Firenze del Duecento (Biblioteca toscana dei Servi, Agiografia 1), Firenze, 1969, dove in un agile volumetto ripercorre il cammino dei Sette Santi Fondatori e le primi origini dell’Ordine dei Servi di Maria, con l’aggiunta di una sezione iconografica curata da p. Eugenio M. Casalini. Assolutamente da non dimenticare è I Frati Servi di s. Maria dalle origini all’approvazione (1233ca-1304), 2 volumi, Lovanio, 1972, opera poderosa e imprescindibile circa i primi settant’anni dell’Ordine dei Servi di Maria, dotata di un volume di documentazione di prim’ordine. Molto particare invece è il Bullarium Ordinis Servorum sanctae Mariae I (1251/52 – 1304) (Scrinium Historiale 8), Roma, 1974, primo volume di un progetto poi non proseguito che riportasse il bollario dei Servi di Maria. Con Spazi e figure lungo la storia dell'Ordine dei Servi di santa Maria (secc. XIII-XX) (Italia sacra 55), Roma, Herder 1997 abbiamo un preziosissimo volume di studi miscellanei sull’Ordine dei Servi di Maria, corredati talora da aggiornamenti bibliografici, che indica la vastità degli studi e degli interessi del Dal Pino per la storiografia servitana.
Se ne potrebbe citare ancora, ma in questa parziale rassegna va ricordato come il Dal Pino ha collaborato, insieme con Piergiorgio Di Domenico, alla cura e all’edizione dei tre volumi di Fonti Storico-Spirituali dell’Ordine dei Servi di Maria (Vicenza, Servitium 1997 e 2002; Padova, Messaggero 2008), notevoli repertori di fonti e indicazioni di ricerca per l’Ordine dei Servi di Maria.
A Franco Andrea Dal Pino, con gratitudine per il suo lavoro, i nostri migliori e più cordiali auguri…


[1] Una parziale bio-bibliografia fino al 1976 si trova in D. M. Montagna, Fra Andrea Maria Dal Pino e la Storiografia dei Servi in Studi Storici OSM 26 (1976), pp. 297-312

sabato 15 febbraio 2014

Storie di Manetto dei Sette Santi Fondatori [Schede per l'iconografia del santorale OSM]



Per l’iconografia dei Sette Santi Fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria il seicento rappresenta un periodo di ricca produzione artistica soprattutto in Toscana. Possiamo ricordare, a titolo d’esempio, i cicli d’affreschi dipinti da Bernardino Barbatelli detto il “Poccetti” per i chiostri dei conventi della SS. Annunziata di Firenze e di Pistoia,  o quello di Alessandro Pillori per il convento di Monte Senario. Ma in questa sede vogliamo soffermare la nostra attenzione sopra un ciclo di storie dedicato singolarmente ad uno dei sette Fondatori: Manetto detto “degli Antellesi”.
Vi è nella tribuna del santuario della SS. Annunziata una cappella detta della Natività di Maria per via della bella tavola d’altare dipinta da Alessandro Allori (1535-1607). La cappella, fin dal 1475 sotto il patronato dei signori dell’Antella, venne abbellita splendidamente negli anni 1600-1602 per iniziativa del senatore Donato dell’Antella, mosso da grande devozione verso il beato Manetto ch’egli diceva appartenere ai suoi antenati [1]. La cappella fino al quel tempo semplice e disadorna si arricchì sia di marmi, pietre dure e lapislazzuli che di pitture commissionate ai migliori pennelli fiorentini del tempo. Alla già citata la tavola d’altare riguardante la Natività della Vergine vanno aggiunti altri quattro quadri di minori dimensioni. Questi quadri adornano le pareti della cappella e ricordano le principali scene di vita del beato Manetto. La particolarità di questo ciclo di storie è che si tratta un’interassente diversione sull’iconografia dei Sette Santi Fondatori. Risulta infatti più facile trovare i Fondatori rappresentati singolarmente, ma molto più raro identificare cicli di storie personali.
Il ciclo inizia con la tela in alto a sinistra, sulla cui fronte possiamo notare un ricco cartello in marmo con la scritta: novella vitis mira velocitate frondescens. Ai piedi del quadro vi è un altro cartello con la scritta: beatus manettus antell. ad montem senarium contendit mccxxxiii. Il quadro è opera di Alessandro Allori. Il soggetto del dipinto è la salita dei Sette Santi Fondatori al Monte Senario. Notiamo infatti un gruppo di sette uomini raccolti assieme e vestiti con l’abito dei Servi. Tra questi se ne nota uno, forse proprio Manetto, che rivolto ai compagni indica con un movimento del braccio destro la vetta ormai vicina e notiamo come il cammino dei sette venga preparato da alcuni angeli. Troviamo un riscontro del tema del quadro nella Legenda de Origine al n. 41: “Da lontano essi scorsero il monte indicato loro da Dio: si innalzava al di sopra dei monti circostanti. Si avvicinarono per vedere com’era fatto. In cima trovarono una radura bellissima, anche se piccola: da una parte una fonte di ottima acqua, tutt’intorno un bosco ordinatissimo, come se fosse stato piantato da mano umana. Questo era davvero il monte preparato loro da Dio. […] Perciò ringraziarono Dio di cuore. Una volta scoperto il luogo dove i loro progetti potevano realizzarsi, non dicevano più: "Venite, cerchiamo", bensì: "Venite, vediamo il luogo preparato dal Signore e saliamo al monte adatto alla nostra penitenza", e con timore di Dio e gioia insieme si dicevano l'un l'altro: "Perché aspettare ancora? Presto, presto, usciamo dalla città, lasciamo ogni rapporto con il mondo, non fermiamoci nella regione circostante, e non voltiamoci indietro per guardare quanto è nocivo alle nostre anime, ma saliamo su questo monte del Signore a noi riservato dalla divina provvidenza, perché in tutto possiamo realizzare la volontà di Dio secondo il nostro desiderio".
La seconda tela posta in basso è opera di Domenico Cresti (1558/60-1636), detto il “Passignano”. Nel cartello sotto il quadro leggiamo: b. m. generalis renuntiatur mcclxv. Notiamo un anziano frate dell’Ordine, Manetto appunto, al centro del quadro rivolto a sinistra. Alle sue spalle un altare, davanti a lui un gruppo di frati inginocchiati. Il frate tiene la mano destra alzata come per benedire i frati dinanzi a lui. Ancora la Legenda de Origine ci ricorda questo momento al n. 61: “nell'anno del Signore 1265, primo del pontificato di papa Clemente IV, fu eletto fra Manetto da Firenze, uomo di grande santità e devozione, di bell'aspetto e di natura delicata”. Stando alla documentazione, Manetto venne eletto priore generale dell’Ordine nel 1265, subentrando nell'incarico a Giacomo da Siena, rimanendo fino al 1267 anno in cui pare aver rinunciato al mandato venendo sostituito da Filippo Benizi.
Volgendo lo sguardo sulla destra in alto, notiamo la terza tela opera di Jacopo Ligozzi (1547-1627). Sulla fronte del quadro un cartello con la scritta magna servitor. auguratur incrementa. Un altro cartello ai piedi del quadro ci spiega il tema: b. m. a clemente iv p. m. plura obtinet privilegia. L’autore ritrae Manetto inginocchiato ai piedi del pontefice Clemente IV, in presenza dei cardinali. La Legenda de Origine ci dice, sempre al n. 61, che Manetto “…per la conferma si recò alla curia che allora si trovava a Perugia” ma non fa cenno dei privilegi ottenuti. Qui ci vengono in soccorso le fonti d’archivio: l’8 giugno 1265, Clemente IV conferma con la lettera Inducunt Nos il privilegio concesso il 25 luglio 1263 da papa Urbano IV all’Ordine dei Servi di poter tenere Capitolo generale ed eleggere un priore generale, il quale doveva essere confermato dal papa [2].
Arriviamo così all’ultima tela realizzata da Cristoforo Allori (1577-1621), figlio di Alessandro, che raffigurò un miracolo del beato, la guarigione di un giovane muto e storpio come viene ricordato pure dal cartello: b. m. mutum et claudum sanat. La Legenda de Origine non ci parla di questo episodio ma lo ritroviamo invece nel Dialogus de Origine Ordinis (1465) di fra Paolo Attavanti (1440-1499). L’autore indicò Manetto con il nome di “Benedetto”, cosa questa che in tempi successivi porterà altri autori dei Servi a indicare questo nome come quello usato prima di abbracciare la vita religiosa. E parlando appunto di lui l’Attavanti scrive in proposito che “Alcune persone gli portarono in gran pianto un loro nipote zoppo e muto, chiedendogli di guarirlo con la sua virtù e santità. “Ora Dio – egli disse –, da cui proviene ogni bene, esaudirà la vostra preghiera”. Stava preparandosi per la messa. Offrì a Dio il sacrificio e al termine, preso per mano l’infermo, lo mise in piedi guarito. Gli diede poi in bocca il corpo del Signore e, fatta la comunione, gli restituì la facoltà di parlare. Perciò, al colmo dello stupore, della gioia e del timore per questi mirabili fatti, la gente fu piena di esultanza”. [3]


fra Emanuele M. Cattarossi
albatrosm2013@gmail.com



[1] Si veda Il santuario della Santissima Annunziata di Firenze. Guida Storico-Illustrativa, Firenze 1876, pp. 154-157; E. Casalini, La SS. Annunziata di Firenze. Guida storico-artistica, II edizione, Firenze 1980, pp. 39-40; F. Petrucci, Santissima Annunziata, Roma 1992, pp. 53-54
[2] Analisi ed Edizione in F. A. Dal Pino, I Frati Servi di s. Maria dalle origini all’approvazione (1233ca-1304), Lovanio 1972, I, p. 925; II, pp. 27-29; regesto in Fonti Storico-Spirituali dei Servi di S. Maria, vol. I, Vicenza 1998, pp. 33-34 (n. 18).
[3] Paolo Attavanti, Dialogus fratris Pauli Florentini de origine Ordinis Servorum ad Petrum Cosmae (1465), edizione in P. M. Soulier, in Monumenta Ordinis Servorum, t. XI, Roulers 1910, pp. 88-112. Traduzione in Fonti Storico-Spirituali dei Servi di S. Maria vol. II, Vicenza 2002, pp. 494-500.

sabato 8 febbraio 2014

Note sui sigilli dei Priori Generali dell'Ordine dei Servi di Maria [Schede per l'iconografia dello Stemma OSM]



Spesso e volentieri pubblicazioni dell’Ordine dei Servi di Maria, libri, depliant, carte intestate, inviti, auguri, bollettini, ne riportano in qualche parte lo “Stemma”: una S e una M intrecciate, sormontate da una corona con un giglio che termina con tre, cinque o sette fiori. Si tratta della maniera più classica di rappresentare lo stemma dell’Ordine dei Servi che tuttavia possiede anche diverse raffigurazioni, molte prodotte negli ultimi anni.
Eppure nonostante l’abbondante produzione grafica, manca uno studio storico e iconografico dedicato allo Stemma dell’Ordine, che ne ricerchi le origini e le studi le tipologie. Le poche informazioni storiche sono opera del p. Alessio M. Rossi (+1968) che nel suo Manuale di Storia dell’Ordine dei Servi di Maria (1956) dedicava tre pagine ad una rapida panoramica sull’evoluzione delle Insigna ordinis cioè dello Stemma dei Servi di Maria [1]. Vogliamo pertanto fornire in merito una serie di schede utili per impostare e proseguire la ricerca.

Nell’Ordine dei Servi di Maria, occorre individuare il primo stemma nell’immagine della Madonna habentis Filium in Brachio [2], come risulta da un timbro dell’Ordine, descritto due volte dal notaio in due atti pubblici datati 7 luglio 1255, a Città di Castello [3].
In questo atto, si descrive come fra Ristoro, priore del convento di Città di Castello, presentandosi con altri due confratelli a Rinaldo, canonico di Città di Castello e vicario del vescovo Pietro, per ottenere il permesso di edificare chiesa e convento fuori di Borgo Sansepolcro, mostri il sigillo del suo priore maggiore, ricevuto in luogo dell’elezione.
Questo sigillo porta impressa l’immagine della beata Maria Vergine con il Figlio in braccio,  e nell’intorno le lettere: sigillum fratrum serv. b. m. v. loci montis sonai.
Non reca stupore l’utilizzo per il sigillo del priore generale del tema della Madonna con il Figlio in Braccio, ossia di una Madonna di Maestà, in quanto questa immagine è anche tra le prime venerabili icone presenti nelle chiese dei Servi di Maria. Infatti pochi anni più tardi la descrizione del sigillo esibito a Città di Castello, nelle chiese dei Servi a Siena (1261) e a Orvieto (1267) compaiono due Madonne di Maestà dipinte da Coppo di Marcovaldo che recano la stessa immagine.
Si conoscono poi i sigilli di altri due priori generali. In un atto del 1289, visto nel convento di Montepulciano da fra Arcangelo Giani (+ 1623), annalista dell’Ordine, il notaio descrivava il sigillo del priore generale fra Lottaringo da Firenze (+ 1300/1305) impresso nelle lettere patenti, dalle quali risultava la validità del priorato locale di fra Bonaventura da Pistoia, indicando come pendente dalla lettera un sigillo con l’immagine della beata Maria col Figlio in braccio e un frate nella parte inferiore con la scritta intorno: sigillum prioris g.lis fratrum servorum s. mariae [4].
Notiamo che il sigillo si è specificato nel tempo, in quanto ai piedi della Vergine compare la figura di un frate inginocchiato.
Similmente in un atto datato 21 settembre 1308, il notaio Giovanni di Bonaventura da Firenze, dopo aver riferito il testo delle lettere inviate da fra Andrea da Borgo Sansepolcro (+ 1314), priore generale, descrive un sigillo oblungo dove vi era scolpita l’immagine della beata vergine Maria seduta in trono col Figlio in braccio posta in un tabernacolo e nella parte inferiore l’immagine di un frate in ginocchio e con le mani alzate e tutt’intorno la scritta: s. prioris generalis fratrum servorum sancte marie [5]. Anche qui notiamo un ulteriore specifica nel sigillo: il frate inginocchiato questa volta appare a mani alzate in atteggiamento di supplica.

Purtroppo dei sigilli sopradetti ci è arrivata solo la descrizione. Tuttavia il tema della Madonna con il Figlio in braccio rimane per lungo tempo come sigillo solenne del priore generale, per gli atti più importanti [6]. Si possono allora analizzare alcune caratteristiche da un sigillo del priore generale dell’Ordine dei Servi, fra Taddeo Tancredi (+ 1514), ricavato da un lettera del 28 gennaio 1501. In questo sigillo la Vergine incoronata è seduta su un trono e tiene il Bambino in piedi sul ginocchio sinistro. Entrambi sono collocati dentro un finissimo tabernacolo, al di sotto del quale si nota un fraticello, con volto sollevato e mani giunte verso l’immagine. Tutto intorno si nota la scritta: s. prioris generalis frm servorum sancte marie [7].
Nel tempo il sigillo del priore generale si limita allo stemma dei Servi composto dalla S e dalla M sormontati dalla corona con il giglio a sette fiori. In tempi più recenti, il priore generale recupera nel suo sigillo l’utilizzo della Vergine. Abbiamo così un sigillo con una stilizzazione della Madonna del Manto che copre un gruppo di frati con intorno la scritta: prior generalis ord. fratr. servorum mariae. Il tema dei sigilli antichi dei priori generali dell’Ordine dei Servi è stato invece ripreso come suo stemma dalla Pontificia Facoltà Teologica «Marianum» ricalcando il sigillo di Taddeo Tancredi e aggiungendovi la scritta: sigillum facultatis theologicae “marianum” ord. serv. mariae.


 fra Emanuele M. Cattarossi
albatrosm2013@gmail.com



[1] A.M. Rossi, Manuale di Storia dell’Ordine dei Servi di Maria, Roma 1956, pp. 367-369.
[2] Cfr. Fonti Storico-Spirituali dei Servi di S. Maria vol. I, Vicenza 1998, pp. 95-96.
[3] Testo completo in P. M. Soulier, Chartularium Ordinis Servorum s. Mariae tempore sanctorum Fundatorum et sancti Philippi 1233-1285 in Monumenta Ordinis Servorum, t. XVI, Montmorency-Wetteren 1916, pp. 209-211; regesto e documentazione in  F. A. Dal Pino, I Frati Servi di s. Maria dalle origini all’approvazione (1233ca-1304), Lovanio 1972, I, p. 884; II, pp. 216-217; regesto in Fonti Storico-Spirituali… cit., I, p. 27 (n. 12)
[4] Cfr. A. M. Dal Pino, Madonna Santa Maria e l’Ordine dei suoi Servi nel I secolo di storia (1233-1317ca) in Studi Storici OSM 17 (1967), p. 36
[5] Cfr. ibidem…, pp. 36-37.
[6] Per interessanti indicazioni riguardo ai sigilli dei priori generali conosciuti cfr. ibidem…, pp. 38-40.
[7] Roma, AGOSM, Diplomatico, cm 8x5. Cfr. ibidem…, p. 39.

domenica 2 febbraio 2014

Il Beato Gioacchino e i bambini [Schede per l'iconografia del santorale OSM]




Nell’Ordine dei Servi di Maria, per rappresentare il beato Gioacchino da Siena (1258ca – 1305) ci si concentra nel riportare scene della sua vita, in particolare il prodigio del cero sospeso, oppure si usa raffigurarlo insieme all’altro beato senese, Francesco Patrizi. Inoltre, dal secolo XVII sembra prendere piede l’abitudine di raffigurare Gioacchino con una fiammella sul capo. Risulta invece più difficile trovare scene di miracoli operati dal beato dopo la sua morte.
A tal proposito vogliamo fermare la nostra attenzione riguardo ad una pittura presente nella cappella del Capitolo del Convento della SS. Annunziata di Firenze. Si tratta si un medaglione affrescato a muro da Matteo Bonechi nell’ambito dei lavori di restauro della cappella nel 1722 [1].
Diamo un occhiata al medaglione che raffigura il beato Gioacchino da Siena. Per chi entra nella cappella, questo medaglione si trova sulla parete destra ed è il più vicino all’altare. Purtroppo di questa serie di raffigurazioni risulta quello più rovinato: l’immagine risulta piuttosto sbiadita, la scritta sul cartiglio quasi illeggibile. Fortunatamente ci viene in aiuto il Tonini e la sua Guida Storico-Descrittiva nel Santuario della SS. Annunziata (1876) è scopriamo qual’è il testo della scritta: “B. Ioachinus Piccolomineus Puerum in Lacuna Soffocatum Revocavit ad Vitam”.
L’episodio riportato trae spunto da uno dei miracoli ottenuti per intercessione del beato Gioacchino, narrati nella sua Legenda [2]. Leggiamo così al punto 31: nel territorio di Siena ”…un bambino di sei anni, che voleva raccogliere dei fiori sopra una fossa d'acqua, sporgendosi troppo, come fanno i bambini, cadde nella fossa. E non potendosi aiutare, andò a finire in fondo all'acqua e lì rimase per un'ora buona. La madre del fanciullo passò di lì e si stupì di vedere l'acqua insolitamente torbida. Rimase a guardare per un po' di tempo, quand'ecco l'acqua, come succede quando qualcuno vi annega, fece emergere un bambino. Vide che era suo figlio e diede un grande urlo. Il padre del bambino, che stava lavorando nell'orto, accorse, tirò fuori il figlio che da tutti fu ritenuto morto”.
Notiamo come il Bonechi ricalchi l’episodio nella sua raffigurazione: il bambino, appena tirato fuori dall’acqua, è esamine; la madre disperata lo tiene per le braccia portandolo verso di sé; vediamo il padre, esausto per la fatica e con lo sguardo stravolto per quanto sta accadendo, che si appoggia ad un masso. Sembra proprio che non ci sia niente da fare, il bambino appare morto…
Eppure, i due genitori non vogliono arrendersi all’evidenza e compiono un gesto significativo. Continua la Legenda, “… Allora egli (il padre) con sua moglie lo offrì al beato Gioacchino”. Bisogna dire che prima di questo episodio altri genitori avevano pregato il beato per ottenere grazie per i propri figli ed erano stati esauditi [3].  Notiamo quindi come la madre volga lo sguardo verso la parte superiore del tondo dove dal cielo appare il beato Gioacchino. Il Bonechi lo raffigura con un braccio alzato e una fiamma sul capo. Le preghiere dei due genitori sono state ascoltate: “…Per più di un'ora il bambino rimase senza respiro e vita. Incominciò poi a muovere un po' la testa e, messo a terra dal padre con la testa in giù, rimise molta acqua e quel giorno ricuperò la salute di prima.”
Questo particolare prodigio e altre grazie che videro beneficiati dei bambini possono aver contribuito a sviluppare un’usanza nella città di Siena: quella di portarli all’altare del beato per ottenerne la benedizione. Questa particolare benedizione doveva proteggere i più piccoli da ogni male e in particolare, dal mal caduco o epilessia, contro la quale il beato Gioacchino è particolarmente invocato.
Ottenuta la grazia i genitori del fanciullo compiono un ultima azione, un gesto di grande significato: “…Allora il padre e la madre portarono il bambino al convento dei frati e resero grazie al beato Gioacchino”. Un gesto che altri genitori hanno seguito per lungo tempo…


fra Emanuele M. Cattarossi
albatrosm2013@gmail.com


[1] Edificata nel 1384, la cappella era sotto il patronato della famiglia Macinghi. Nel 1722, per volere del p. Pier Antonio Rossi, la Cappella venne riammodernata su disegno di Gioacchino Fortini (1670-1736) e ridenominata Cappella del Capitolo, dal momento che in essa i frati tenevano i loro capitoli comunitari. Decorazioni e affreschi sono opera degli artisti Antonio Puglieschi (1660-1732) e Matteo Bonechi (1669-1756). Proprio al Bonechi appartengono la serie di otto medaglioni a tempera che decorano le pareti laterali della Cappella. Ognuno di questi medaglioni raffigura un particolare beato dell’Ordine dei Servi e un prodigio operato da questi. Cfr. Il Santuario della Santissima Annunziata di Firenze. Guida Storico-Illustrativa…, Firenze, 1876, pp. 242-249.
[2] La Vita ac Legenda Ioachimi Senensis Ordinis fratrum servorum Mariae Virginis è di autore ignoto. Per la sua redazione vengono offerti due riferimenti cronologici al 1325 o al periodo 1330-1335. Edizioni del testo originale sono apparse in: P. M. Soulier in Analecta Bollandiana XII (1894), pp. 383-397, riprendendolo da una copia redatta da Callisto Palombella nel sec. XVIII; P. M. Soulier in Monumenta OSM V, pp. 7-18, sul manoscritto del Vaticano. Per una traduzione in lingua italiana: F. M. Fioretto e E. M. Bedont per Studi Storici OSM 8 (1957-58), pp. 164-170 poi ripresa in Due beati senesi: legende trecentesche dei beati Gioacchino e Francesco (Panis Servorum 7), Vicenza 1965, pp. 9-20; Piergiorgio M. Di Domenico per Fonti storico-spirituali OSM I, pp. 312-332.
[3] Si veda la Legenda del Beato Gioacchino nn. 24.27.