venerdì 21 agosto 2015

“Una arte molto vivace e molto bella”. Andrea del Sarto e un prodigio di san Filippo Benizi [Schede per l'iconografia del santorale OSM]



Andrea del Sarto, Il beato Filippo Benizzi morto risuscita un bimbo
Un aspetto interessante della devozione verso san Filippo Benizi è rappresentato dalla protezione verso i fanciulli, che nell’Ordine dei Servi di Maria trova una particolare espressione nella  Benedizione dei Bambini. Questa particolare Benedizione trae le sue origini da una serie di episodi che pongono san Filippo Benizi in rapporto con i bambini e i fanciulli: anzitutto la pia tradizione che narra come egli stesso, quando era ancora bambino in fasce, pregò la madre di dare l’elemosina ai frati “Servi di Maria”; l’abbraccio di perdono e la consolante profezia rivolte ad un giovane che, sorpreso a rubare nell’orto del convento di Cesena, era stato percosso e duramente ripreso dal frate ortolano; e infine i diversi  miracoli in favore di giovani e ragazzi avvenuti alla morte del santo, tra i quali sottolineiamo la risurrezione di un giovanetto, figlio unico di una madre vedova [1]. Quest’ultimo episodio è riportato nelle due antiche legende trecentesche di san Filippo Benizi, Vulgata e Perugina, di cui riportiamo il testo. Questo è il racconto della Vulgata

«Nella città di Todi vi era una vedova che aveva mandato nella vigna il suo unico figlio. Mentre questi andava per la strada, trovò un lupo che lo azzannò alla gola. Un uomo, che passava per la strada, vide il lupo assalire il ragazzo, e si mise a gridare; il lupo allora fuggì, ed egli si avvicinò al ragazzo e lo portò morto a sua madre. Ed essa, gridando e piangendo, andò al sepolcro del beato Filippo e cominciò a gridare: "Uomo di Dio Filippo, prega per il mio figliuolo". Mentre diceva così, subito dinanzi a tutto il popolo il morto risuscitò» [2].

Ecco invece come lo racconta la Perugina:

«C'era una vedova di Todi, a cui era morto l'unico figlio nello stesso giorno (della morte del santo). Sentendo i miracoli che Dio mostrava davanti a tutti tramite il suo santo Filippo, invocandolo con lacrime e pianti diceva: «O venerabile padre, beato Filippo, a cui Dio ha concesso così grandi favori, vieni in mio aiuto, io che sono una vedova abbandonata, e ridammi vivo il figlio mio e io te l'offrirò per sempre». Cose mirabili a sentirsi! Mentre diceva questo, il fanciullo, che era morto, subito si levò, vivo e sano, gridando e dicendo ad alta voce: «Mamma, ho visto san Filippo che mi strappava dalla rovina della morte e mi ordinava di ritornare vivo nel corpo». Quella allora, ringraziando immensamente, adempì quanto aveva promesso e alla chiesa del beato Filippo donò il fanciullo insieme a molti doni» [3].

Pur con alcune discrepanze nella narrazione si può notare come entrambi i testi si riferiscano allo stesso episodio. Punto di convergenza tra le due legende è dato dalla citazione della madre come “vedova”. Notiamo poi come la Vulgata sviluppi più la morte del fanciullo, mentre la Perugina dettaglia maggiormente l’invocazione della madre. Detto episodio troverà poi uno sviluppo nell’iconografia del santo di cui, tra tutte le raffigurazioni, la lunetta dipinta da Andrea del Sarto nel Chiostrino dei Voti della Santissima Annunziata di Firenze, nell’ambito del ciclo di affreschi dedicati a san Filippo (1509-1510), rappresenta il caso più interessante da approfondire. Così ne parla il Vasari nelle sue celebri Vite: dopo aver affrescato tre scene della vita del santo, Andrea

«ne conseguì quella lode che meritamente si conveniva a una opera simil a quella. E seguitò Andrea inanimito per la lode due altre istorie nel cortile medesimo. In una faccia quando San Filippo è nella bara morto, et intorno e’ suoi frati lo piangono, aggiuntovi un putto morto anch’egli, che nel farli toccare la bara dove è San Filippo, risuscita, et èvvi contrafatto, e quando egli è morto e quando egli è vivo, con una arte molto vivace e molto bella…..» [4].

Guardando la lunetta possiamo rilevare come questa riporti gli elementi del prodigio descritti dalle due legende. Anzitutto si nota come la parte centrale della scena sia occupata dal corpo esanime di Filippo che viene sistemato da un frate servo di Maria sul feretro. Sulla sinistra, in prossimità della testa notiamo alcuni frati che rendono l’estremo saluto al loro priore Generale. Nell’affresco vi è poi la presenza di alcuni fedeli: due si trovano sulla parte sinistra, un altro sta accosto ai frati di fronte al feretro, altri cinque sostano a piedi del santo mentre un sesto si avvicina dietro di loro. In quest’ultimo gruppo di fedeli, notiamo una donna, con un velo bianco in capo e la mani giunte mentre prega il santo, “…Uomo di Dio Filippo, prega per il mio figliuolo…”, di restituire la vita al suo unico figlio, steso ai piedi del feretro con indosso una veste bianca e le mani incrociate sul grembo. L’attenzione dei fedeli viene quindi attirata sia dalla morte del santo che da un altro avvenimento che si svolge ai piedi del feretro. Difatti l’artista, subito accanto al corpicino del bimbo morto, ne ha dipinto un altro, che poi è lo stesso bambino, in atto di rialzarsi mentre tende la mano destra verso le spoglie di san Filippo, la bocca come in atto di dire “…ho visto san Filippo che mi strappava dalla rovina della morte e mi ordinava di ritornare vivo nel corpo…”. E lo stupore dei presenti dev’essere grande se guardiamo i due fedeli sulla sinistra della lunetta: quello vestito di viola, con una fascia rossa ai fianchi, alza le mani come per lo stupore e volge lo sguardo al compagno vicino come a dirgli “Lo vedi anche tu?”. Calza a pennello, dunque, il giudizio del Vasari su questa lunetta: “… una arte molto vivace e molto bella”.
Particolare con i due volti restaurati
Un’ultima curiosità sulla lunetta di Andrea del Sarto raffigurante la morte del san Filippo Benizi e la risurrezione di un fanciullo di cui abbiamo parlato sopra vale la pena di essere raccontata. Nella lunetta sulla sinistra sono raffigurati due uomini, uno vestita di verde e rosso e l’altro di viola con una cinta rossa ai fianchi. Se poniamo attenzione ai volti di queste due figure vi possiamo notare delle crepe tutto intorno, quasi che si volesse incorniciarle.
Curiosamente, in merito all’origine di questo particolare della lunetta ne dà notizia il Tonini nella Guida Storico-Descrittiva del santuario (1876), il quale a sua volta la riprese da Notizia dei Professori del Disegno da Cimabue in qua… di Filippo Baldinucci (Firenze, 1845) [5]. Scrive così il Tonini:

«… nel farsi l’anno 1626 certo lavoro al di fuori, sotto il loggiato, nel muro che risponde a questa lunetta, l’indiscretezza de’ muratori fu tale, che ai loro colpi di martello rintronandone il muro, cadde lo scialbo di questa pittura là ove appunto rimanevano con la testa quelle due figure stanti, l’una di verde, l’altra di pavonazzo vestite» [6].

Ecco dunque il motivo della crepatura tutt’intorno ai volti. Ma come possiamo vedere, i volti sono ancora al loro posto, grazie all’intervento dell’artista Domenico Cresti, detto il Passignano (1558/59-1638), già autore di alcune opere presenti alla Santissima Annunziata. Continua infatti il Tonini:

«… Trovandosi presente il Passignano, solito in questo chiostro studiare e dipingere, e’ raccolse di terra i frammenti del muro caduti, e con tale accuratezza e maestria li ripose al suo luogo, che, chi non ha notizia del fatto o non vi ponga singolare attenzione, non si avvede di alcun difetto»[7].

L’accuratezza e la maestria del Passignano indicano come anche i restauri a volte diventano opere d’arte.

fra Emanuele M. Cattarossi
albatrosm2013@gmail.com



[1] cfr. Benedizionale di San Filippo Benizi, 1987, p. 13
[2] Legenda “Vulgata”,  26
[3] Legenda “Perugina”, 29.
[4] Giorgio Vasari, Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani da Cimabue, insino a’ tempi nostri, Firenze [1550-1568], 1966-1987, IV, p. 349.
[5] Filippo Baldinucci, Notizie de Professori del disegno da Cimabue in Qua…, Firenze 1702, pp. 136-137.
[6] Il Santuario della Santissima Annunziata di Firenze. Guida storico-illustrativa compilata da un religioso dei Servi di Maria, Firenze 1876, p. 16.
[7] Ibidem.