lunedì 9 giugno 2025

Primo sguardo - Presenza Laicale dei Servi di Maria (2025).

Presenza Laicale dei Servi di Maria. Un rinnovato proposito per vivere la consacrazione battesimale. Lettera del priore generale fra Gottfried M. Wolff alla Famiglia dei Servi e Serve di Maria al termine del 600° anniversario della bolla Sedis Apostolicae Providentia (1424), Roma (2025), 20 pp., 16 cm.

 


Con la lettera Presenza Laicale dei Servi di Maria offre una ideale chiusura dell’anno dedicato al ricordo del Sesto centenario della concessione della bolla Sedis Apostolicae Providentia di papa Martino V (16 marzo 1424) con la quale veniva ufficialmente istituito il Terz’Ordine dei Servi di Maria e concessa la Regola apposita. Scorrendone il testo, ne osserviamo alcuni particolari.

Tutte le ricorrenze in una certa qual misura offrono sempre la possibilità di una riflessione su ciò che si ricorda, e il priore generale lo riconosce in particolare per la presenza laicale nella Famiglia dei Servi definita come “preziosa e variegata realtà” (p. 4).

L’excursus storico che il priore generale offre, traccia alcuni preziosi riferimenti per il cammino “laicale” della Famiglia dei Servi. Al tempo stesso, lo riconduce all’esperienza dei Fondatori precedente alla loro scelta di consacrazione alla vita religiosa. Riferimento importante per ricostruire un cammino di fede che muove passi di ricerca all’interno di un contesto sociale e cittadino, laicale eppure intriso di devozione mariana, di preghiera e di attività. Utile, peraltro, il ricordo della possibilità di partecipazione ai beni spirituali dell’Ordine, elemento da non dimenticare anche nell’oggi (p. 6).

La “variegata” realtà della componente laicale della Famiglia dei Servi si può apprezzare nella strutturazione della Regola di Vita del 1424 – che poi costituirà in importante base per l’istituzione di vere e proprie comunità di consacrate – da cui derivarono due percorsi diversi di interpretazione: la costituzione di sodalizi del Terz’Ordine da un lato, il nascere di fraternità chiamate poi Societas habitus dall’altro. Non sfugge su queste ultime la constatazione che, chiamate a partire dal 1645 Confraternite dei Sette Dolori della beatissima Vergine, esse ebbero gran ruolo nell’affermazione dell’interesse dell’Ordine verso l’Addolorata (pp. 7-8).

Le soppressioni subite dall’Ordine dei Servi tra i secoli XVIII e XIX colpirono duramente anche la componente laicale, ma la sua ripresa costituì in qualche maniera e misura un ponte per la formazione di congregazioni femminili di vita attiva, talvolta guidate da giovani legate al Terz’Ordine o da sacerdoti appartenenti al sodalizio (p. 8). In questo punto, pensiamo sarebbe stato il caso – a titolo esemplificativo – di ricordare alcune figure presenti nel santorale OSM quali la beata Maria Maddalena Starace (1845-1921) fondatrice delle Compassioniste Serve di Maria e il beato Ferdinando M. Baccillieri (1821-1893) fondatore delle suore Serve di Maria di Galeazza. L’impegno di entrambi – come pure di altre figure parimenti importanti – infatti si svolge a partire dalla presenza nei sodalizi del Terz’Ordine, se non già alla fondazione degli stessi, per indicare come l’Ordine dei Servi vada a svilupparsi anche e soprattutto attraverso un tessuto laicale e sociale da conoscere, penetrare e comprendere.

Nell’oggi il priore generale scrive che l’Ordine Secolare dei Servi di Maria – nome più recente offerto in luogo dell’antico “Terz’Ordine” – “non può essere solo un movimento devozionale, ma deve costituire una scuola di spiritualità, dove si riceve ‘il sostegno per realizzare la speciale chiamata alla santità’ e insieme ci si educa a ‘collaborare alla costruzione di un mondo nuovo alla luce dei valori evangelici’” (p. 11). E viene offerto nuovamente l’esempio dei Sette Santi, ovvero un “comportamento” di vita nel tentativo di riflettere una “realtà non mondana, ma celeste, conforme al pensiero e alla volontà di Dio” (p. 12). Esempio che trova nei passaggi della Regola di Vita, in particolare al n. 13, un ulteriore eco, indicando una vita “semplice e di servizio, tutta orientata verso Dio”.

Sul finale della lettera si notano i principali punti di debolezza, e parimenti di lavoro e riflessione ulteriore. Il priore generale indica alla componente laicale della Famiglia dei Servi il tentativo di riflettere una “realtà non mondana, ma celeste, conforme al pensiero e alla volontà di Dio” (p. 12). Impegno importante, sul quale però, con un certo acume se riconosce la difficoltà di questo servizio, specie nel particolare contesto sociale in cui si vive: il priore generale sottolinea in particolare la difficoltà nella parola “coniugare”, ossia come trasferire un impianto – a volte spesso teorico e lontano – in una realtà concreta e vicina (p. 13). Ugualmente, una sottolineatura viene data al pericolo dell’attivismo che porta ad una snaturazione del singolo al punto che ci identifica “con quello che si fa, illudendosi di trovare in esso la propria identità e il senso della vita” (p. 13).

A questo punto entra in gioco necessariamente la stretta collaborazione e assistenza tra componenti della Famiglia dei Servi. Di fronte alle difficoltà dei laici Servi di Maria, diviene vitale allora l’invito alla Comunità religiosa di aprire i propri spazi e permettere “ad altri di partecipare alla sua liturgia, al suo lavoro, alla sua vita resa pienamente umana dall’amicizia fraterna che la anima!” (p. 13). Questo apre senz’altro ad una riflessione mai sufficientemente piena sulla collaborazione – non puramente di aiuto sul piano materiale – e di interazione – non solo a scopo didattico – tra le componenti della Famiglia dei Servi.

Altro aspetto vitale è il riconoscimento per il priore generale che “i laici portano la conoscenza diretta della realtà in cui vivono; così i religiosi sono aiutati a non essere estranei alle situazioni concrete, talora molto faticose della vita; comprendono meglio e partecipano all’insicurezza di quanti non riescono a soddisfare le esigenze del vivere quotidiano; ridimensionano l’importanza, spesso eccessiva, che si attribuisce a questioni della vita comune; rendono vera la liturgia, inserendovi il contenuto concreto delle attese e delle speranze dell’umanità; giungono finalmente a capire meglio il senso della Scrittura, letta e meditata ogni giorno” (p. 14). Questo passaggio appare leggibile sia dal lato della componente laicale che da quella religiosa dell’Ordine dei Servi di Maria. E al tempo stesso, ci permettiamo di indicare come questo costituisca una delle fratture principali – basata sull’incomprensione – tra componenti della Famiglia dei Servi.

Infatti, se da un lato, il mondo e la società attuale tende a creare affanno, disorientamento, attivismo senza posa, ricerca di risultato e prestigio, rumore e stordimento sensoriale, dall’altro le comunità religiose rischiano talvolta di rimanere al confine della porta conventuale, mutuando in maniera inefficace un messaggio all’umanità intera nella ripetizione di dinamiche approvate per consuetudine. Emergono inoltre, difficoltà tra le parti dovute non alla volontà di un cammino comune, ma in una ricerca di sopravanzamento continuo. Di conseguenza, emerge con maggiore necessità la ricerca di un piano di equilibrio e di confronto su un piano coerente.

Chiude la lettera un ringraziamento al Signore e alla Nostra Signora per la fecondità e la varietà della presenza laicale dell’Ordine dei Servi e una preghiera per la sua continuità (p. 15). Una lettera quindi da leggere e su cui offrire alcune riflessioni, anche più a lungo nel tempo.

La lettera è stata diramata alla Famiglia dei Servi anche in formato pdf, in traduzione plurilingue (Italiano, Francese, Inglese, Spagnolo, Portoghese).

In chiusura, qualche piccolo appunto di stile e di prodotto: pregevole il formato – di facile portatilità – e la pubblicazione; semmai forse troppo piccolo il carattere per la lettura; la foto interna della bolla Sedis Apostolicae Providentiae si perde del tutto nella scala di grigi, mentre risalta meglio nella quarta di copertina; qualche eventuale immagine avrebbe impreziosito di più il testo, come una breve frase o rimando si sarebbe potuto utilizzare sulle alette di copertina. Nel complesso però una piccola pubblicazione di pregio, tanto più necessaria a completamento di una ricorrenza importante della Famiglia dei Servi.


 fra Emanuele M. Cattarossi

albatrosm2013@gmail.com

 

 

giovedì 29 maggio 2025

Il beato Giacomo Filippo da Faenza [Schede di orientamento sul santorale OSM]

L’Ordine dei Servi di Maria nel giorno 30 maggio celebra la memoria liturgica del beato Giacomo Filippo da Faenza. Qui di seguito, si riportano alcuni dati essenziali per una conoscenza maggiore e anche per orientare eventuali nuove ricerche.

1. Beato Giacomo Filippo, lettera d'Incipit della Vita
Codice "Borghese" (circa 1483), Archivio Generale OSM 

Note sulla vita.

Tratti preziosi sul beato (vissuto a Faenza tra il 1454 e il 1483) li possediamo a partire da una Vita redatta da Niccolò Borghese – umanista senese, già autore di trascrizioni delle Legende di Filippo Benizi, Pellegrino Laziosi e dei beati senesi Gioacchino e Francesco – attorno al 1485. Tale testo, semplice e asciutto nella narrazione biografica del beato, si articola su tredici paragrafi e una lista di sessantadue miracoli, l’ultimo dei quali riguarda l’autore stesso. Una conferma di quanto descritto nella Vita si ritrova nei registri amministrativi del Convento di Faenza per gli anni 1475-1488 [1], oltre agli atti notarili dello stesso convento. Fanno poi seguito tre laudi in onore del beato scritte in dialetto romagnolo, che indicano il particolare eco di santità del frate. 
Nella Vita del Borghese, viene delineata la figura di un frate, chiamato dapprima Andrea e poi in religione Giacomo Filippo, morto in giovane età – appena ventinove anni – di vita particolarmente ascetica e austera, dedito al proprio ministero di presbitero. Giacomo Filippo si distingue per tratti di profonda obbedienza alle regole conventuali e liturgiche. La sua continua ricerca di comunione con Dio offre al tempo stesso atteggiamenti di mitezza e servizio, oltre ad una capacità di profonde e autentiche amicizie.

2.  Beato Giacomo Filippo, niello argenteo della Coperta
del Mare Magnum (Firenze, 1487)
 
Note sul culto.
Il culto del beato pare affermarsi immediatamente dopo la morte. Al paragrafo 11 della sua Vita si legge che “al propagarsi della notizia, il popolo di Faenza accorre in chiesa da ogni parte, contestando con alte grida la sua sepoltura” e aggiunge tra i paragrafi 10-12 alcuni prodigi avvenuti già durante il giorno della sua morte. La seguente lista di sessantadue miracoli certifica la presenza di un culto ben radicato.
Giacomo Filippo fu proclamato beato da papa Clemente XIII nel 1761, dopo che la S. Congregazione dei Riti ne aveva riconosciuto il culto ab immemorabili. L’anno seguente il consiglio Comunale di Faenza lo annoverò tra i santi protettori della città (14 luglio 1762).
Il corpo del beato lungamente conservato nella chiesa dei Servi di Faenza (di origine trecentesca), ne seguì anche le vicende di trasformazione settecentesca. Nel 1944, il passaggio del fronte e il minamento del campanile ad opera dei tedeschi in ritirata, videro la distruzione dell’abside della chiesa, con la conseguente chiusura al culto. Nella notte tra il 4 e il 5 marzo 1945, forse a opera di soldati alleati, le ossa del beato furono manomesse. Ricomposte in seguito a cura delle autorità diocesane, venne disposto il trasferimento presso la cattedrale di Faenza, presso l’altare di San Carlo Borromeo, dove tuttora si trovano [2].
L’Ordine dei Servi ne colloca una memoria liturgica al 30 maggio, mentre la diocesi di Faenza-Modigliana la fissa al 23 dello stesso mese come memoria facoltativa [3].
 
3. Beato Giacomo Filippo, tondo affrescato,
sagrestia della Chiesa di Santa Maria dei Servi in Orvieto
(inizi sec. XVI)

Note iconografiche.
L’iconografia del beato si sviluppa quasi nell’immediato dopo la sua morte. Si possono indicare due filoni di sviluppo.
Citiamo anzitutto una produzione “faentina”, ubicata per intero nella Chiesa dei Servi e poi traslati in seguito ai danneggiamenti subiti nel corso del secondo conflitto mondiale [4]. Si ricordano principalmente: l’affresco di Biagio d’Antonio da Firenze  realizzato attorno al 1483 (insieme a quello dedicato al ‘beato’ Enea Utili, venne strappato nel dopoguerra, restaurato e esposto presso la sala degli Affreschi del Museo Diocesano di Faenza); la pala d’altare raffigurante la Madonna in trono col Bambino, tra il beato Giacomo Filippo e s. Giovanni Evangelista, realizzata circa nel 1484 (attualmente esposta presso la Pinacoteca Comunale di Faenza); la tela di Gian Battista Bertucci il giovane che raffigura la Vergine in trono col Bambino, tra il beato Giacomo Filippo e santi (indicato presso l’episcopio faentino [5]).
In queste opere, pure a distanza di tempo si nota l’accentuazione di caratteristiche fisiche già riportate nella Vita del Borghese “di statura superiore alla media, era tanto magro che la pelle aderiva alle ossa: aveva viso sottile e allungato, naso piuttosto lungo, occhi infossati, collo eretto, dita affilate, impressionante il pallore” (n. 8).
Esiste poi una produzione nell’Ordine di raffigurazioni del beato. Tra queste in particolare citiamo la miniatura del codice quattrocentesco che ne contiene la Vita, attualmente conservato presso l’Archivio generale dell’Ordine a Roma. La lettera d’incipit, la I di Iacobus, raffigura su uno sfondo d’oro il beato in preghiera dinanzi al crocifisso, attraversato da un cartiglio con la scritta “Dominus illuminatio mea”, una citazione del Salmo 27(26) (Figura 1).
Citiamo poi uno dei nielli argentei della coperta con la quale i frati della SS. Annunziata di Firenze ornarono la bolla Mare Magnum, concessa da papa Innocenzo VIII all’Ordine il 27 maggio 1487. Il beato è riconoscibile da un cartiglio riportante il suo nome, con le mani sorregge un crocifisso (Figura 2). La presenza del beato nel gruppo degli otto beati e beati dell’Ordine raffigurati, offre una cifra dell’importanza da lui raggiunta nel santorale dei Servi.
Particolare poi è il tondo affrescato (inizio secolo XVI) nella sagrestia della Chiesa di Santa Maria dei Servi. Ad oggi piuttosto sbiadito e rovinato, l’affresco rappresenta il beato - riconoscibile dalla scritta sottostante Iacobus Philippus de Faventia - in preghiera davanti ad un crocifisso (non riconoscibile, ma individuato in fotografie passate), subito dietro il quale si intravede ancora una sorta di raffigurazione di una disciplina bianca (Figura 3).
Le circostanze dell’approvazione del culto nel 1761 diedero luogo ad una serie di incisioni a tema sul beato in particolare in ambito austriaco. Al dato attuale, la raffigurazione più standard appare quella del beato in abiti sacerdotali nel gesto di offrire il sacrificio eucaristico dinnanzi all’altare.
 
Per approfondimenti e ricerca.
Alcuni profili sul beato sono stati prodotti da Aristide M. Serra. Il primo appare come terzo volume nella collana Studia Historica Minora dal titolo A. M. Serra Il B. Giacomo Filippo da Faenza (1962). Ancora il Serra produce un profilo del beato nella Bibliotheca Sanctorum, vol. III (1963), cc. 118-120. In seguito, lo stesso Serra ripropose un testo più diffuso e accurato in A. M. Serra, Santorale Antico dei Servi della Provincia di Romagna (Bologna, 1967), pp. 69-104.  Un altro più profilo, più ridotto e con il nome di “Bertoni, Andrea”, è presente nel Dizionario Biografico degli Italiani, vol. IX (1969), a cura di Carlo Natali. Un ulteriore studio piuttosto elaborato è quello a cura di Pacifico M. Branchesi dal titolo P. M. Branchesi, Il beato Giacomo Filippo Bertoni da Faenza (1454-1483) in I Servi di Maria nell’età delle Riforme (Monte Senario, 1981), pp. 81-100. In ultimo, nuovamente il Serra offrì un nuovo profilo biografico e cultuale sul beato in un agile volumetto dal titolo Il beato Giacomo Filippo Bertoni da Faenza (1454-1483) dell’Ordine dei Servi di Maria nel 500° anniversario della sua morte (Bologna, 1983). Per la stessa occasione il Centro Studi O.S.M. di Bologna, pubblicò una serie di diciotto riproduzioni di stampe sul beato.
Il Proprio della Liturgia delle Ore dell’Ordine dei Servi di Maria riporta al 29 maggio, la liturgia propria del beato, offrendo tratti biografici direttamente dalla Vita del Borghese. Riguardo alle scelte applicate per la sua liturgia si rimanda alle annotazioni di Pedro Suarez su Studi Storici OSM 15, (1965) pp. 129-133 e a quelle di Ignazio Calabuig su Proprium Officiorum OSM 1, (1987), pp. 190-191.
Riguardo all’iconografia del beato si trovano indicazioni in A. Savioli, L’iconografia del beato Giacomo Filippo Bertoni da Faenza in Studi Storici OSM 9, (1959), pp. 64-74 (con 14 tavole di immagini) poi riprese anche nel testo sopracitato del Branchesi del 1981.
L’originale della Vita del Borghese, insieme ad altre trascrizioni umanistiche di beati dell’Ordine, è conservato presso l’Archivio Generale dei Servi di Maria a Roma. Il testo latino venne pubblicato su Monumenta OSM, vol. IV (1900-1901), pp. 63-81. Le traduzioni sono reperibili in A. M. Serra, Santorale Antico dei Servi… (1962), pp. 120-127 (testo latino e traduzione italiana a fronte, solo le parti della vita); Il beato Giacomo Filippo Bertoni da Faenza (1454-1483) … (1983), (traduzione della vita e dei miracoli nn. 1-6 e 62); Fonti Storico-Spirituali dell’Ordine dei Servi, vol. II (2002), pp. 477-482 (traduzione della vita e del miracolo n. 62).

fra Emanuele M. Cattarossi
albatrosm2013@gmail.com


[1] Libro dell’entrata e uscita del convento di Faenza dal 1475 al 1484, ms. presso la Biblioteca Comunale di Faenza, sez. Archivi delle Congregazioni Religiose, Padri Serviti, XXIV, n. 208.
[2] W. Ferretti, Stato attuale delle ss. Ossa del beato Giacomo Filippo Bertoni, in Studi Storici OSM 8 (1957-1958), pp. 171-173.
[4] Riguardo alla Chiesa dei Servi in Faenza, alle sue vicende storiche e allo stato attuale si rimanda a questo contributo http://www.historiafaentina.it/Monumenti/chiesa_servi.html [consultato 27.05.2025], anche presente in http://www.marcocavina.com/Architectonica/chiesa_gotica_dei_Servi/00_pag.htm [consultato 27.05.2025].
[5] Così indicato nella tavola VII di A. Savioli, L’iconografia del beato Giacomo Filippo Bertoni da Faenza in Studi Storici OSM 9 (1959), pp. 64-74. 

sabato 1 febbraio 2020

Le "Corone" del beato Gioacchino da Siena [Schede per l'iconografia del Santorale OSM]

Apparizione della vergine e del bambino
al beato Gioacchino da Siena.
Dettaglio di una porta in legno nella tribuna
della Basilica della SS. Annunziata di Firenze
(secolo XVII)

All'interno dell'Ordine dei Servi di Maria il beato Gioacchino da Siena (1258ca – 1305) possiede una lunga e sviluppata linea iconografica sia dal punto di vista episodico sia da quello individuale [1].
La raffigurazione episodica trae le sue mosse dalla lastra funeraria attualmente conservata presso la Pinacoteca Nazionale di Siena ma in precedenza parte del sepolcro dello stesso beato. Le tre scene raffigurate, oltre a costituire una tra le più antiche raffigurazioni di frati dell’Ordine dei Servi, hanno costituito la base d’ispirazione per ulteriori opere.
La raffigurazione individuale seguì linee interpretative diverse. Talvolta il beato viene raffigurato con un ramo di rose e accoppiato con il beato Francesco. In altri contesti emerge l’uso di una fiamma sul capo. In altri ancora il beato viene raffigurato prostrato di fronte all’apparizione della Madre di Dio e del Figlio. Quest’ultima raffigurazione conoscerà un’evoluzione attraverso un piccolo dettaglio immesso nel tempo: vengono porte al due corone.
Cosa rappresentino queste due corone e quali sono le circostanze da cui derivano si possono trarre facilmente da una lettura della trecentesca Legenda beati Joachimi [2]. La prima corona si ritrova al punto 6 di cui riportiamo il passo:

6. Dal beato Filippo fu poi inviato di famiglia nel convento di Arezzo. Era lì già da un anno, quando gli capitò di trovarsi in cammino per il territorio di Arezzo insieme a fra Acquisto d’Arezzo, uomo di grande fama. Era sopravvenuta ormai la notte e la pioggia cadeva abbondante. Trovarono allora riparo in un ospizio, dove un infermo giaceva oppresso da una grave e lunga malattia. Il beato Gioacchino lo sentì lamentarsi per il dolore e gli disse: «Abbi pazienza, fratello, perché questa tua malattia sarà per te causa di salvezza». E questi: «O buon frate, è facile esaltare la malattia, ma come è diverso averla!». E Gioacchino gli rispose: «Allora io prego Dio onnipotente perché ti liberi da questa malattia e ad essa sottoponga me, suo servo: non possa io liberarmene se non con la morte, e così portare sempre nel mio corpo la pazienza di Cristo». L’infermo fece un balzo dal letto: era perfettamente guarito. Gioacchino invece venne subito colpito, sul posto, da epilessia, da cui fu afflitto oltre misura per tutto il tempo della sua vita. Fu per lui come una corona di martirio.

La seconda corona invece compare al paragrafo 17:

17. Piacque poi all’Altissimo onorarlo di un’altra corona. Lo colpì infatti un’altra malattia: in alcune punti del corpo la carne marciva fino alle ossa e ne uscivano vermi di continuo. Per quanto gli fu possibile, tentò di nasconderla. Grande fu il dolore dei frati quando se ne accorsero. Essi lo supplicavano di pregare per sé, perché quei mali lo lasciassero. Ed egli rispose: «Fratelli carissimi, ciò non mi conviene, perché questa infermità purifica i miei peccati e fortifica l’anima, secondo la parola dell’Apostolo: Quando sono debole, è allora che sono più forte».

Notiamo dunque che le due corone sono intese come un martirio sopportato dal beato nel proprio corpo. Più specificamente si riferiscono una all’epilessia, presa su di sé dal beato per guarire un malato che non era stato in grado di consolare con le sue parole, l’altra ad una forma di lebbra, assunta dal beato come forma di purificazione dal peccato e fortificazione dell’animo.
Occorre notare che questi due episodi, pur così centrali nella vita del beato e fonte di riflessione sulla sua spiritualità, risultano al contempo difficili da rendere visivamente questi episodi. Per questo l’espediente grafico delle due corone aiuta in una qualche misura a ricordare gli episodi.
Non mancano tuttavia tentativi di rendere graficamente questi miracoli. Negli Officia Propria dell’Ordine dei Servi di Maria del 1609 e del 1629 compare in occasione della memoria del beato una medesima incisione così composta: al centro una raffigurazione del beato, incorniciata da dieci quadretti raffiguranti una serie di episodi circa la vita e i miracoli. Detti quadretti sono numerati progressivamente, partendo da quello in alto al centro seguendo un movimento antiorario. Le scene raffigurate fanno riferimento alle letture proprie della vita del beato che si trovano all’interno degli Officia Propria.
Incisione degli Officia Propria del 1609
dedicata al beato Gioacchino
Iniziamo considerando la raffigurazione del beato Gioacchino. Al centro, notiamo il beato in ginocchio, la mano destra sul petto mentre la sinistra è rivolta verso il basso. Lo sguardo del beato, sopra il cui capo arde una fiamma, è sollevato verso l'alto dove, spostata verso destra, compare tra le nubi la Vergine con il Bambino. Le scene raffigurate nei quadretti di cornice sono: 1. da fanciullo Gioacchino distribuisce i propri beni ai poveri; 2. la chiamata della Vergine durante il sonno; 3. la guarigione dell'epilettico prendendo su di sè la malattia; 4. il prodigio del cero sospeso a mezz'aria; 5. il beato, rimasto chiuso fuori convento d'inverno, passa tutta la notte in preghiera; 6. il prodigio della mensa ribaltata senza che niente vada perduto; 7. l'apparizione della fiamma sul capo durante la preghiera; 8. la malattia alla gamba; 9. la morte il venerdì santo; 10. il giovane annegato risuscitato per l'intercessione del beato; 11. l'uomo ingiustamente incarcerato, liberato dietro invocazione del beato. Le ultime due scene compaiono nello stesso quadretto. Sotto, l'incisione la scritta Beati Ioachimi Pellacani Senensis Ord. Servor. B. M. Virg. Miracula et Actiones quae in eius Lectionibus continentur e in parte la firma dell'incisore, M.G.[3].

Poniamo ora una maggiore attenzione ai riquadri 3 e 8. Cominciamo con il riquadro 3 che stilizza l’episodio del punto 6 della Legenda beati Joachimi.
Il beato al centro, con aureola in capo, è in atto di rivolgersi ad un uomo, in atto di contorcersi a terra, posto sulla sinistra del riquadro. Il braccio sinistro del beato appare steso verso il malato mentre il destro va ad indicare il cielo.
Occorre notare che in questo caso senza un ricorso alle letture agiografiche si può ragionevolmente pensare che il beato preghi affinchè il malato venga guarito, ma non che assuma su sé stesso la malattia.
Il riquadro 8 riprende invece l’episodio narrato al punto 17 della Legenda beati Joachimi. Il beato in questo caso è raffigurato steso sul letto, le mani giunte in preghiere. Le gambe appaiono scoperte e si notano delle macchie nere, come ad indicare la malattia citata. In alto a destra del riquadro viene raffigurato una sorta di fascio di luce.
Nuovamente si ripresenta la difficoltà grafica di rendere l’episodio in quanto si sarebbe portati a pensare all’intervento divino per una guarigione dalla malattia alle gambe. Di qui la necessità di riferirsi alla lettura agiografica per una corretta comprensione dell'incisione.


Incisione tratta dal Marianischer Lust-und
Blumen Garten
(1697) dedicata
al beato Gioacchino da Siena
Passiamo ora ad un Gioacchino “austriaco”. Questa immagine appartiene ad una serie d’incisioni austriache relative al santorale dei Servi, eseguite da J.Jacob Hermundt e comparse in un’opera di Fr. Raffaele Maria Weinhardt (1661-1715) dal nome Marianischer Lust-und Blumen Garten (1697)[4]. L’incisione riguardante il beato Gioacchino è numerata come 11. Nella scritta posta sotto l’incisione leggiamo: Beatus Pater Ioachimus Senensis e famiglia Piccolominea, Ordinis Servorum beatae Mariae Virginis. Dum morbo epileptico laborantem frusta ad patientiam hortatur, eundem morbum in se transferri a Deo petijt: quod et impetravit. Duplicem coronam a beatissima Virgine adeptus, 16 aprilis 1305.
Analizziamo adesso da vicino l’incisione. Il beato Gioacchino è raffigurato nell’atto di guardare in alto. Sul volto un’espressione di sorpresa, stupore e gioia per ciò che sta osservando. Sopra il capo è presente una fiammella. In alto a destra appare Maria Vergine, radiosamente vestita e circondata d’angeli. Notiamo davanti alla Vergine un angelo che reca tra le mani due corone e le porge a Gioacchino.
In basso a destra dell’incisione si nota un altro episodio. Due frati fermi davanti ad un uomo a terra. Il frate sulla sinistra è mostrato nel gesto di muovere un braccio nei confronti dell’uomo a terra. Nuovamente si potrebbe indicare la possibilità di equivocare l’episodio ad una semplice guarigione se non si ricorresse alla lettura della scritta sottostante.


Incisione sul Beato Gioacchino presente
all'Archivio Generale dei Servi di Maria
Le due corone rappresentano quindi un utile espediente grafico per introdurre le due malattie sopportate dal beato, costituendone dunque un segno distintivo. Un deciso miglioramento di rappresentazione grafica è dato da quest’ultima incisione, forse da collocare al secolo XVIII [5]. Il beato viene raffigurato in abito dei Servi, in ginocchio davanti ad un malato che pare contorcersi ai suoi piedi. La scritta in basso recita: Beato Gioacchino Piccolomini dei Servi di Maria Protettore sopra il Malcaduco. La scena diventa più leggibile secondo il dettato della Legenda beati Joachimi se osserviamo la raffigurazione delle mani e lo sguardo che il beato ha verso un crocifisso posto sulla sinistra dell’incisione. La mano sinistra del beato è in atto di presentare il malato oppresso dall’epilessia mentre la destra indica il beato stesso, come a voler significare la volontà di assumere su sé stesso la malattia. Emerge pertanto, anche in relazione al particolare titolo di protettore del beato, una migliore comprensione dell’episodio. 

fra Emanuele M. Cattarossi
albatrosm2013@gmail.com




[1] In merito si veda E. Casalini, Culto e Iconografia Servitana - IV. I BB. Giovacchino e FrancescoLe tele di «memoria ex-voto» in E. Casalini – L. Crociani – C. Fabbri – P. Ircani-Menichini – G. Vailati Schoemburg-Waldenburg, Da “una casupola” nella Firenze del sec. XIII. Celebrazioni giubilari dell’Ordine dei Servi di Maria. Cronaca, Liturgia, Arte (Biblioteca della Provincia Toscana dell’Ordine dei Servi di Maria, 4), Firenze, SS. Annunziata (1990), pp. 134-140.
[2] La Vita ac Legenda Ioachimi Senensis Ordinis fratrum servorum Mariae Virginis è di autore ignoto. Per la sua redazione vengono offerti due riferimenti cronologici al 1325 o al periodo 1330-1335. Edizioni del testo originale sono apparse in: P. M. Soulier in Analecta Bollandiana XII (1894), pp. 383-397, riprendendolo da una copia redatta da Callisto Palombella nel sec. XVIII; P. M. Soulier in Monumenta OSM V, pp. 7-18, sul manoscritto del Vaticano.
Per una traduzione in lingua italiana: F. M. Fioretto e E. M. Bedont per Studi Storici OSM 8 (1957-58), pp. 164-170 poi ripresa in Due beati senesi: legende trecentesche dei beati Gioacchino e Francesco (Panis Servorum 7), Vicenza 1965, pp. 9-20; Piergiorgio M. Di Domenico per Fonti storico-spirituali OSM I, pp. 312-332.
[3] Notiamo che la famiglia d’appartenenza del beato è indicata come Pellacani, famiglia senese che pare estinta attorno al 1543. Circa questo aspetto occorre notare che il primo a citare l’appartenenza del beato a questa famiglia è fra Paolo Attavanti nel suo Dialogus de Origine ordinis… (1465 ca.), notizia ripresa poi per tutto il Cinquecento. Tuttavia già negli anni dell’edizione degli Officia Propria, circolava la notizia che il beato appartenesse alla famiglia Piccolomini, tanto che nelle stampe di fine seicento viene indicato come tale. In seguito alla revisione del Proprio dell’Ufficio dell’Ordine dei Servi attorno agli anni ‘60, il beato viene indicato solo come “da Siena”.
[4] Si veda in proposito P. M. Branchesi - D. M. Montagna.Immagini del Santorale dei Servi tra sei e settecento. La grafica austriaca, Studi Storici OSM 34 (1984), pp. 207-338. L’incisione del beato Gioacchino è a p. 235.
[5] Questa incisione è presente presso l’Archivio Generale dell’Ordine dei Servi di Maria, segnata come AR-14-6.

martedì 9 aprile 2019

La strada verso Ariccia (214° Capitolo Generale dell’Ordine dei Servi di Maria, 7-27 ottobre 2019)


L'Ordine dei Servi di Maria celebra quest'anno il suo 214° Capitolo Generale nei giorni dal 7 al 27 ottobre a Ariccia.
Il Capitolo generale rappresenta, insieme alla figura del Priore generale e dei conventi delle origini di Monte Senario e della Santissima Annunziata, una delle istituzioni di riferimento più antiche e citate. Vale dunque la pena di indicare un breve excursus storico oltre ad una breve riflessione sul nostro tempo.

Le basi di un istituzione
La tradizione storiografica dei Servi indica una serie di "Capitoli Generali" alle origini[1]. Appare però difficile attestare queste riunioni in quanto spesso possono trattarsi più di ritrovi di frati che vere e proprie assemblee plenarie.
Secondo una ricostruzione offerta da Davide Montagna, si può indicare il primo capitolo generale ufficiale con il capitolo del 1256 a Firenze, momento in cui avviene il passaggio di consegne da fra Bonfiglio, primo priore generale, e fra Bonagiunta, suo successore[2].
Per certo l'istituto del Capitolo Generale è consentito a partire dalla bolla Inducunt Nos di papa Urbano IV del 25 luglio 1263. Bolla interessante e degna di maggiore considerazione in quanto indica la possibilità per l'Ordine di svolgere capitolo generale e di eleggervi in esso il proprio priore generale[3]. Non a caso il testo della Bolla Dum Levamus di papa Benedetto XI di approvazione definitiva dell'Ordine, concessa l’11 febbraio 1304, ricorda appunto questo testo insieme ad altri due[4]. La stessa Legenda de Origine nei punti 58 e 59 pone particolare enfasi su quest’avvenimento, riassumendo e sottolineando una serie di caratteristiche dell’Ordine al momento.
La celebrazione del Capitolo generale risulta inizialmente annuale. Le Constitutiones Antiquae al capitolo XXV danno indicazioni importanti per la celebrazione del Capitolo Generale[5]:
- data di celebrazione;
- partecipanti;
- elezioni e decisioni da prendere.
Lo svolgimento dei capitoli diviene luogo privilegiato d’incontro per i frati oltre che di produzione di nuovi Decreti capitolari che strutturano progressivamente l’Ordine dei Servi. In particolare, sarà il capitolo di Parma del 1353 ad introdurre particolari disposizioni per l’Ordine, rappresentando uno dei tanti momenti di transizione dall’epoca delle origini a quella dello sviluppo dell’Ordine.
La data inizialmente rimane a lungo fissa al 1° maggio, con alcune eccezioni. Nel passare del tempo di verificherà una variazione notevole dei tempi della celebrazione del capitolo.

Aggiornamenti e momenti salienti
La prima modifica sostanziale alla pratica del Capitolo Generale appare nel 1346 con la Bolla Regimini Universalis Ecclesiae di papa Clemente VI, data il 23 marzo del detto anno[6]. Con questa bolla il periodo di celebrazione del capitolo generale passa da annuale a triennale. Parimenti si danno disposizioni per il priore generale tenuto a rimettere nel corso del capitolo generale il proprio mandato, salvo poi essere riconfermato nell’incarico.
Nella seconda parte del Trecento, la celebrazione del Capitolo Generale patirà l'intervento dei pontefici circa l'elezione dei priori generali. Tale pratica caratterizza l’Ordine per un trentennio dal 1344 al 1374, e non mancherà di rimanifestarsi in altri momenti.
Nel quattrocento, la nascita della Congregazione dell'Osservanza inserisce all'interno del Capitolo Generale la presenza del vicario dell'Osservanza. Parimenti ai capitoli della Congregazione avrebbe dovuto partecipare il priore generale. Pratica quest'ultima non sempre gradita ai frati osservanti. La questione raggiungerà il culmine con il capitolo della Congregazione del 11-12 aprile 1486 da celebrarsi in Brescia. Momento particolare in cui l’opposizione dei frati Osservanti alla presenza in capitolo del priore generale Antonio Alabanti porterà ad una clamorosa chiusura delle porte della città di Brescia davanti a quest’ultimo[7]. La situazione verrà risolta nel tempo con una delicata mediazione, ma è sintomo del manifestarsi di tensioni nel periodo indicato.
Il finire del Quattrocento è anche il momento dei capitoli generali di maggiore sfarzo e magnificenza. A Vetralla dal 21 al 29 maggio 1485, si contano quattrocento partecipanti, 129 vocali dell’Ordine, 90 dell’Osservanza[8]. A Bologna dal 25 al 31 maggio 1488 si giunge a partecipazioni larghissimi, tra i novecento e i mille partecipanti[9].
I capitoli generali che si svolgono nel Cinquecento si caratterizzano a più riprese per le decisioni il rinnovo delle costituzioni.  Dal capitolo di Budrio del 1546 fino a quello di Cesena del 1570 almeno quattro testi costituzionali passano attraverso l’esame dei frati riuniti in capitolo.
Di questo periodo va ricordato il capitolo di Cesena del 1570, svoltosi nei giorni dal 13 al 16 maggio, dove si ricompone, attraverso un intervento deciso della Santa Sede, l'unità fra Ordine e Congregazione dell'Osservanza[10]. Se tuttavia le modalità appaiono forti, la comunicazione del decreto di Pio V del 5 maggio avvenne al termine del capitolo tra la sorpresa dei frati osservanti, occorre notare che l'intervento di papa Pio V si pone in linea con un preciso intento di riforma e ristrutturazione degli ordini religiosi.
A partire dal Seicento, la celebrazione del capitolo generale subisce una nuova modificazione passando da triennale a sessennale, insieme alla durata del mandato del priore generale. Il Seicento è anche il secolo in cui sono maggiori le nomine pontificie di priori generali. Si noterà così che nelle liste dei capitoli generali diversi appaiono omessi e sostituiti con "Diete" generali. Se può stupire la sensibilità odierna[11], tale situazione appare però un riflesso della cultura verticista del tempo.
Con la rivoluzione francese e l'impero napoleonico i capitoli subiscono una battuta d'arresto in quanto difficili da celebrare. Mentre gli eventi della Rivoluzione francese infuriano si riuscì a celebrare ancora il capitolo 1792, ma già quello del 1798 viene omesso. Il capitolo del 1804 a Firenze risulta l’ultimo prima di una lunga pausa fino al 1823. La celebrazione riprende quindi regolarmente salvo ricevere nuove interruzioni durante gli eventi risorgimentali, in particolare nel periodo 1865-1883. Occorre notare come fino a questo momento, i capitoli vengono celebrati nella penisola italiana e solo la presenza di vari stati in essa indica una certa varietà. I due conflitti mondiali del XX secolo causano anche un interruzione del capitolo generale.

In tempi più recenti
Nel 1965, il Capitolo generale di Firenze offre un sostanziale punto di inizio all'Ordine dei Servi nella sua strutturazione attuale. In esso, svoltosi tra il 5 e il 23 giugno 1965, poco prima dunque della fine del Concilio Vaticano II viene decisa il rinnovo del testo delle Costituzioni. Inizia da qui un percorso che vedrà in un ventennio circa la celebrazione di Capitoli "straordinari" per la discussione e la redazione di nuovi testi. Già nel 1968 il Capitolo Generale esce per la prima volta dall'Italia per essere celebrato in Spagna a Majadahonda presso Madrid, dal 15 ottobre al 12 dicembre, dove si approverà un primo testo sperimentale delle nuove costituzioni. Seguiranno poi i capitoli del 1971 a Opatija, nell’allora Jugoslavia e oggi Croazia, del 1974 a Roma,  del 1977 a Barcellona e del 1983 a Roma in un continuo di approfondimenti.
Il testo delle Costituzioni del 1987 fissano anche l'impianto del Capitolo Generale, dove si prevede ormai l'elezione del priore Generale, dei quattro consiglieri, del segretario e del procuratore generale.
Da notare come dal 1983 a oggi, escono in corrispondenza del capitolo generale tre documenti mariani a opera del Marianum: Ecco tua Madre (1983); Servi del Magnificat (1995); Avvenga per me secondo la tua Parola (2013).
La documentazione del Capitolo del 1989 appare interessante nell'ambito di una ristrutturazione dell'Ordine: premessa interessante per un rinnovamento delle strutture che però viene superata, al netto delle decisioni successive, sia nelle direttrici di diffusione dell’Ordine dei Servi che dall’incalzare del movimento di globalizzazione. Di grande importanza è il 1995, quando il Capitolo Generale varcare l'oceano per essere celebrato a Città del Messico, segnando con l'erezione della provincia Messicana un interessante cambio di direzione dell'Ordine. Diminuendo la presenza italiana, per età e vocazioni, e aumentando la consistenza di nuova realtà, l'Ordine assume una realtà più mondiale con relative necessità di maggiore inculturazione.

Next stop: 214° Ariccia
Proprio sull'inculturalità, e di riflesso sul superamento delle tematiche di imperialismo culturale e sulle difficoltà d’ibridazione culturale[12], si gioca uno dei temi di maggiore interesse di questo 214° Capitolo Generale dell’Ordine dei Servi di Maria. Tema che può offrire ricchezza di valutazioni, ma anche banalità di stereotipi e di proposte.
Non si può negare ormai come il mondo sia profondamente cambiato dalla conoscenza che se ne poteva avere fino a venti o trent’anni fa[13]. Inoltre è necessario notare come nella riflessione sull’attualità il termine cronologico vada spostato dal 1989-1991, ossia dal crollo del muro di Berlino e dalla dissoluzione dell’URSS con conseguente scomparsa del comunismo, agli eventi del 2001 e 2007, ossia al Crollo delle Torri Gemelle e alla crisi finanziaria di inizio secolo. Le tematiche mainstream mondiali sono ormai spostate dal tema della contrapposizione ideologica tra Occidente-Oriente o Democrazia-Comunismo. Gli eventi del 2001 offrono l’emergere di forti frizioni fra globalizzazione mondiali e insorgere di particolarismi regionali uniti a involuzioni culturali[14]. Gli eventi del 2008 indicano non soltanto i pericolosi ondeggiamenti del mercato attuale ma anche pratiche  di shock-economy o shock-politics che disorientano sempre più la società lasciandola spesso preda dei migliori demagoghi del nostro tempo[15].
Nel suo piccolo e sulla base della sua pluricentenaria esperienza l’Ordine dei Servi di Maria è chiamato a osservare più da vicino queste “nuovi croci” e offrire una sua proposta a quanti ci incontrano.


Emanuele M. Cattarossi
albatrosm2013@gmail.com



[1] Si veda la lista di A.M. RossiManuale di Storia dell’Ordine dei Servi di Maria, Roma 1956, pp. 774-778 e D. M. MontagnaLiber capitulorum generalium O.S.M. Secoli XIII-XIX (1249/1256-1804), con un appendice per gli anni 1823-1989 in Studi Storici OSM 39 (1989), pp. 23-154.
[2] Cfr. MontagnaLiber capitulorum generalium, pp. 27-28.
[3] Analisi ed Edizione in F. A. Dal PinoI Frati Servi di s. Maria dalle origini all’approvazione (1233ca-1304), Lovanio 1972, I, p. 925; II, pp. 27-29; regesto in Fonti Storico-Spirituali dei Servi di S. Maria, vol. I, Vicenza 1998, pp. 33-34 (n. 18).
[4] Analisi ed Edizione in Dal PinoI Frati Servi di s. Maria, I, pp. 1291-1295; II, pp. 131-136; regesto in Fonti Storico-Spirituali, I, p. 64 (n. 60).
[5] Testo italiano in Fonti Storico-Spirituali, I, pp. 140-144.
[6] Regesto e indicazioni bibliografiche in Fonti Storico-Spirituali, I, pp. 90-91 (n. 101).
[7] Regesto e indicazioni bibliografiche in Fonti Storico-Spirituali, II, pp. 300-301 (n. 641).
[8] Regesto e indicazioni bibliografiche in Fonti Storico-Spirituali, II, pp. 297-298 (n. 633). Cfr. MontagnaLiber capitulorum generalium, p. 93.
[9] Regesto e indicazioni bibliografiche in Fonti Storico-Spirituali, II, pp. 312-313 (n. 668). Cfr. MontagnaLiber capitulorum generalium, p. 94.
[10] Regesto e indicazioni bibliografiche in Fonti Storico-Spirituali, III, pp. 380-381 (nn. 908-909). Cfr. MontagnaLiber capitulorum generalium, pp. 119-120.
[11] Montagna indica come “immotivati” gli interventi della Santa Sede, cfr. Ibidem, p. 135.
[12] Sul tema si rimanda in particolare a E. A. Schultz – R. H. Levada, Antropologia Culturale, Bologna 2015, pp. 396-401.
[13] Si rimanda in merito a S. P. Huntington, Lo scontro delle Civiltà e il nuovo ordine mondiale, Milano 2012, pp. 14-15
[14] E. J. Hobsbawm, La fine dello Stato, Milano 2007, pp. 31. 80-81.
[15] Si rimanda alla considerazioni su economia e politica espressa da N. Klein, Shock economy. L'ascesa del capitalismo dei disastri, Milano, 2007 e Shock politics. L'incubo Trump e il futuro della democrazia, Milano 2017.