lunedì 9 giugno 2025

Primo sguardo - Presenza Laicale dei Servi di Maria (2025).

Presenza Laicale dei Servi di Maria. Un rinnovato proposito per vivere la consacrazione battesimale. Lettera del priore generale fra Gottfried M. Wolff alla Famiglia dei Servi e Serve di Maria al termine del 600° anniversario della bolla Sedis Apostolicae Providentia (1424), Roma (2025), 20 pp., 16 cm.

 


Con la lettera Presenza Laicale dei Servi di Maria offre una ideale chiusura dell’anno dedicato al ricordo del Sesto centenario della concessione della bolla Sedis Apostolicae Providentia di papa Martino V (16 marzo 1424) con la quale veniva ufficialmente istituito il Terz’Ordine dei Servi di Maria e concessa la Regola apposita. Scorrendone il testo, ne osserviamo alcuni particolari.

Tutte le ricorrenze in una certa qual misura offrono sempre la possibilità di una riflessione su ciò che si ricorda, e il priore generale lo riconosce in particolare per la presenza laicale nella Famiglia dei Servi definita come “preziosa e variegata realtà” (p. 4).

L’excursus storico che il priore generale offre, traccia alcuni preziosi riferimenti per il cammino “laicale” della Famiglia dei Servi. Al tempo stesso, lo riconduce all’esperienza dei Fondatori precedente alla loro scelta di consacrazione alla vita religiosa. Riferimento importante per ricostruire un cammino di fede che muove passi di ricerca all’interno di un contesto sociale e cittadino, laicale eppure intriso di devozione mariana, di preghiera e di attività. Utile, peraltro, il ricordo della possibilità di partecipazione ai beni spirituali dell’Ordine, elemento da non dimenticare anche nell’oggi (p. 6).

La “variegata” realtà della componente laicale della Famiglia dei Servi si può apprezzare nella strutturazione della Regola di Vita del 1424 – che poi costituirà in importante base per l’istituzione di vere e proprie comunità di consacrate – da cui derivarono due percorsi diversi di interpretazione: la costituzione di sodalizi del Terz’Ordine da un lato, il nascere di fraternità chiamate poi Societas habitus dall’altro. Non sfugge su queste ultime la constatazione che, chiamate a partire dal 1645 Confraternite dei Sette Dolori della beatissima Vergine, esse ebbero gran ruolo nell’affermazione dell’interesse dell’Ordine verso l’Addolorata (pp. 7-8).

Le soppressioni subite dall’Ordine dei Servi tra i secoli XVIII e XIX colpirono duramente anche la componente laicale, ma la sua ripresa costituì in qualche maniera e misura un ponte per la formazione di congregazioni femminili di vita attiva, talvolta guidate da giovani legate al Terz’Ordine o da sacerdoti appartenenti al sodalizio (p. 8). In questo punto, pensiamo sarebbe stato il caso – a titolo esemplificativo – di ricordare alcune figure presenti nel santorale OSM quali la beata Maria Maddalena Starace (1845-1921) fondatrice delle Compassioniste Serve di Maria e il beato Ferdinando M. Baccillieri (1821-1893) fondatore delle suore Serve di Maria di Galeazza. L’impegno di entrambi – come pure di altre figure parimenti importanti – infatti si svolge a partire dalla presenza nei sodalizi del Terz’Ordine, se non già alla fondazione degli stessi, per indicare come l’Ordine dei Servi vada a svilupparsi anche e soprattutto attraverso un tessuto laicale e sociale da conoscere, penetrare e comprendere.

Nell’oggi il priore generale scrive che l’Ordine Secolare dei Servi di Maria – nome più recente offerto in luogo dell’antico “Terz’Ordine” – “non può essere solo un movimento devozionale, ma deve costituire una scuola di spiritualità, dove si riceve ‘il sostegno per realizzare la speciale chiamata alla santità’ e insieme ci si educa a ‘collaborare alla costruzione di un mondo nuovo alla luce dei valori evangelici’” (p. 11). E viene offerto nuovamente l’esempio dei Sette Santi, ovvero un “comportamento” di vita nel tentativo di riflettere una “realtà non mondana, ma celeste, conforme al pensiero e alla volontà di Dio” (p. 12). Esempio che trova nei passaggi della Regola di Vita, in particolare al n. 13, un ulteriore eco, indicando una vita “semplice e di servizio, tutta orientata verso Dio”.

Sul finale della lettera si notano i principali punti di debolezza, e parimenti di lavoro e riflessione ulteriore. Il priore generale indica alla componente laicale della Famiglia dei Servi il tentativo di riflettere una “realtà non mondana, ma celeste, conforme al pensiero e alla volontà di Dio” (p. 12). Impegno importante, sul quale però, con un certo acume se riconosce la difficoltà di questo servizio, specie nel particolare contesto sociale in cui si vive: il priore generale sottolinea in particolare la difficoltà nella parola “coniugare”, ossia come trasferire un impianto – a volte spesso teorico e lontano – in una realtà concreta e vicina (p. 13). Ugualmente, una sottolineatura viene data al pericolo dell’attivismo che porta ad una snaturazione del singolo al punto che ci identifica “con quello che si fa, illudendosi di trovare in esso la propria identità e il senso della vita” (p. 13).

A questo punto entra in gioco necessariamente la stretta collaborazione e assistenza tra componenti della Famiglia dei Servi. Di fronte alle difficoltà dei laici Servi di Maria, diviene vitale allora l’invito alla Comunità religiosa di aprire i propri spazi e permettere “ad altri di partecipare alla sua liturgia, al suo lavoro, alla sua vita resa pienamente umana dall’amicizia fraterna che la anima!” (p. 13). Questo apre senz’altro ad una riflessione mai sufficientemente piena sulla collaborazione – non puramente di aiuto sul piano materiale – e di interazione – non solo a scopo didattico – tra le componenti della Famiglia dei Servi.

Altro aspetto vitale è il riconoscimento per il priore generale che “i laici portano la conoscenza diretta della realtà in cui vivono; così i religiosi sono aiutati a non essere estranei alle situazioni concrete, talora molto faticose della vita; comprendono meglio e partecipano all’insicurezza di quanti non riescono a soddisfare le esigenze del vivere quotidiano; ridimensionano l’importanza, spesso eccessiva, che si attribuisce a questioni della vita comune; rendono vera la liturgia, inserendovi il contenuto concreto delle attese e delle speranze dell’umanità; giungono finalmente a capire meglio il senso della Scrittura, letta e meditata ogni giorno” (p. 14). Questo passaggio appare leggibile sia dal lato della componente laicale che da quella religiosa dell’Ordine dei Servi di Maria. E al tempo stesso, ci permettiamo di indicare come questo costituisca una delle fratture principali – basata sull’incomprensione – tra componenti della Famiglia dei Servi.

Infatti, se da un lato, il mondo e la società attuale tende a creare affanno, disorientamento, attivismo senza posa, ricerca di risultato e prestigio, rumore e stordimento sensoriale, dall’altro le comunità religiose rischiano talvolta di rimanere al confine della porta conventuale, mutuando in maniera inefficace un messaggio all’umanità intera nella ripetizione di dinamiche approvate per consuetudine. Emergono inoltre, difficoltà tra le parti dovute non alla volontà di un cammino comune, ma in una ricerca di sopravanzamento continuo. Di conseguenza, emerge con maggiore necessità la ricerca di un piano di equilibrio e di confronto su un piano coerente.

Chiude la lettera un ringraziamento al Signore e alla Nostra Signora per la fecondità e la varietà della presenza laicale dell’Ordine dei Servi e una preghiera per la sua continuità (p. 15). Una lettera quindi da leggere e su cui offrire alcune riflessioni, anche più a lungo nel tempo.

La lettera è stata diramata alla Famiglia dei Servi anche in formato pdf, in traduzione plurilingue (Italiano, Francese, Inglese, Spagnolo, Portoghese).

In chiusura, qualche piccolo appunto di stile e di prodotto: pregevole il formato – di facile portatilità – e la pubblicazione; semmai forse troppo piccolo il carattere per la lettura; la foto interna della bolla Sedis Apostolicae Providentiae si perde del tutto nella scala di grigi, mentre risalta meglio nella quarta di copertina; qualche eventuale immagine avrebbe impreziosito di più il testo, come una breve frase o rimando si sarebbe potuto utilizzare sulle alette di copertina. Nel complesso però una piccola pubblicazione di pregio, tanto più necessaria a completamento di una ricorrenza importante della Famiglia dei Servi.


 fra Emanuele M. Cattarossi

albatrosm2013@gmail.com

 

 

giovedì 29 maggio 2025

Il beato Giacomo Filippo da Faenza [Schede di orientamento sul santorale OSM]

L’Ordine dei Servi di Maria nel giorno 30 maggio celebra la memoria liturgica del beato Giacomo Filippo da Faenza. Qui di seguito, si riportano alcuni dati essenziali per una conoscenza maggiore e anche per orientare eventuali nuove ricerche.

1. Beato Giacomo Filippo, lettera d'Incipit della Vita
Codice "Borghese" (circa 1483), Archivio Generale OSM 

Note sulla vita.

Tratti preziosi sul beato (vissuto a Faenza tra il 1454 e il 1483) li possediamo a partire da una Vita redatta da Niccolò Borghese – umanista senese, già autore di trascrizioni delle Legende di Filippo Benizi, Pellegrino Laziosi e dei beati senesi Gioacchino e Francesco – attorno al 1485. Tale testo, semplice e asciutto nella narrazione biografica del beato, si articola su tredici paragrafi e una lista di sessantadue miracoli, l’ultimo dei quali riguarda l’autore stesso. Una conferma di quanto descritto nella Vita si ritrova nei registri amministrativi del Convento di Faenza per gli anni 1475-1488 [1], oltre agli atti notarili dello stesso convento. Fanno poi seguito tre laudi in onore del beato scritte in dialetto romagnolo, che indicano il particolare eco di santità del frate. 
Nella Vita del Borghese, viene delineata la figura di un frate, chiamato dapprima Andrea e poi in religione Giacomo Filippo, morto in giovane età – appena ventinove anni – di vita particolarmente ascetica e austera, dedito al proprio ministero di presbitero. Giacomo Filippo si distingue per tratti di profonda obbedienza alle regole conventuali e liturgiche. La sua continua ricerca di comunione con Dio offre al tempo stesso atteggiamenti di mitezza e servizio, oltre ad una capacità di profonde e autentiche amicizie.

2.  Beato Giacomo Filippo, niello argenteo della Coperta
del Mare Magnum (Firenze, 1487)
 
Note sul culto.
Il culto del beato pare affermarsi immediatamente dopo la morte. Al paragrafo 11 della sua Vita si legge che “al propagarsi della notizia, il popolo di Faenza accorre in chiesa da ogni parte, contestando con alte grida la sua sepoltura” e aggiunge tra i paragrafi 10-12 alcuni prodigi avvenuti già durante il giorno della sua morte. La seguente lista di sessantadue miracoli certifica la presenza di un culto ben radicato.
Giacomo Filippo fu proclamato beato da papa Clemente XIII nel 1761, dopo che la S. Congregazione dei Riti ne aveva riconosciuto il culto ab immemorabili. L’anno seguente il consiglio Comunale di Faenza lo annoverò tra i santi protettori della città (14 luglio 1762).
Il corpo del beato lungamente conservato nella chiesa dei Servi di Faenza (di origine trecentesca), ne seguì anche le vicende di trasformazione settecentesca. Nel 1944, il passaggio del fronte e il minamento del campanile ad opera dei tedeschi in ritirata, videro la distruzione dell’abside della chiesa, con la conseguente chiusura al culto. Nella notte tra il 4 e il 5 marzo 1945, forse a opera di soldati alleati, le ossa del beato furono manomesse. Ricomposte in seguito a cura delle autorità diocesane, venne disposto il trasferimento presso la cattedrale di Faenza, presso l’altare di San Carlo Borromeo, dove tuttora si trovano [2].
L’Ordine dei Servi ne colloca una memoria liturgica al 30 maggio, mentre la diocesi di Faenza-Modigliana la fissa al 23 dello stesso mese come memoria facoltativa [3].
 
3. Beato Giacomo Filippo, tondo affrescato,
sagrestia della Chiesa di Santa Maria dei Servi in Orvieto
(inizi sec. XVI)

Note iconografiche.
L’iconografia del beato si sviluppa quasi nell’immediato dopo la sua morte. Si possono indicare due filoni di sviluppo.
Citiamo anzitutto una produzione “faentina”, ubicata per intero nella Chiesa dei Servi e poi traslati in seguito ai danneggiamenti subiti nel corso del secondo conflitto mondiale [4]. Si ricordano principalmente: l’affresco di Biagio d’Antonio da Firenze  realizzato attorno al 1483 (insieme a quello dedicato al ‘beato’ Enea Utili, venne strappato nel dopoguerra, restaurato e esposto presso la sala degli Affreschi del Museo Diocesano di Faenza); la pala d’altare raffigurante la Madonna in trono col Bambino, tra il beato Giacomo Filippo e s. Giovanni Evangelista, realizzata circa nel 1484 (attualmente esposta presso la Pinacoteca Comunale di Faenza); la tela di Gian Battista Bertucci il giovane che raffigura la Vergine in trono col Bambino, tra il beato Giacomo Filippo e santi (indicato presso l’episcopio faentino [5]).
In queste opere, pure a distanza di tempo si nota l’accentuazione di caratteristiche fisiche già riportate nella Vita del Borghese “di statura superiore alla media, era tanto magro che la pelle aderiva alle ossa: aveva viso sottile e allungato, naso piuttosto lungo, occhi infossati, collo eretto, dita affilate, impressionante il pallore” (n. 8).
Esiste poi una produzione nell’Ordine di raffigurazioni del beato. Tra queste in particolare citiamo la miniatura del codice quattrocentesco che ne contiene la Vita, attualmente conservato presso l’Archivio generale dell’Ordine a Roma. La lettera d’incipit, la I di Iacobus, raffigura su uno sfondo d’oro il beato in preghiera dinanzi al crocifisso, attraversato da un cartiglio con la scritta “Dominus illuminatio mea”, una citazione del Salmo 27(26) (Figura 1).
Citiamo poi uno dei nielli argentei della coperta con la quale i frati della SS. Annunziata di Firenze ornarono la bolla Mare Magnum, concessa da papa Innocenzo VIII all’Ordine il 27 maggio 1487. Il beato è riconoscibile da un cartiglio riportante il suo nome, con le mani sorregge un crocifisso (Figura 2). La presenza del beato nel gruppo degli otto beati e beati dell’Ordine raffigurati, offre una cifra dell’importanza da lui raggiunta nel santorale dei Servi.
Particolare poi è il tondo affrescato (inizio secolo XVI) nella sagrestia della Chiesa di Santa Maria dei Servi. Ad oggi piuttosto sbiadito e rovinato, l’affresco rappresenta il beato - riconoscibile dalla scritta sottostante Iacobus Philippus de Faventia - in preghiera davanti ad un crocifisso (non riconoscibile, ma individuato in fotografie passate), subito dietro il quale si intravede ancora una sorta di raffigurazione di una disciplina bianca (Figura 3).
Le circostanze dell’approvazione del culto nel 1761 diedero luogo ad una serie di incisioni a tema sul beato in particolare in ambito austriaco. Al dato attuale, la raffigurazione più standard appare quella del beato in abiti sacerdotali nel gesto di offrire il sacrificio eucaristico dinnanzi all’altare.
 
Per approfondimenti e ricerca.
Alcuni profili sul beato sono stati prodotti da Aristide M. Serra. Il primo appare come terzo volume nella collana Studia Historica Minora dal titolo A. M. Serra Il B. Giacomo Filippo da Faenza (1962). Ancora il Serra produce un profilo del beato nella Bibliotheca Sanctorum, vol. III (1963), cc. 118-120. In seguito, lo stesso Serra ripropose un testo più diffuso e accurato in A. M. Serra, Santorale Antico dei Servi della Provincia di Romagna (Bologna, 1967), pp. 69-104.  Un altro più profilo, più ridotto e con il nome di “Bertoni, Andrea”, è presente nel Dizionario Biografico degli Italiani, vol. IX (1969), a cura di Carlo Natali. Un ulteriore studio piuttosto elaborato è quello a cura di Pacifico M. Branchesi dal titolo P. M. Branchesi, Il beato Giacomo Filippo Bertoni da Faenza (1454-1483) in I Servi di Maria nell’età delle Riforme (Monte Senario, 1981), pp. 81-100. In ultimo, nuovamente il Serra offrì un nuovo profilo biografico e cultuale sul beato in un agile volumetto dal titolo Il beato Giacomo Filippo Bertoni da Faenza (1454-1483) dell’Ordine dei Servi di Maria nel 500° anniversario della sua morte (Bologna, 1983). Per la stessa occasione il Centro Studi O.S.M. di Bologna, pubblicò una serie di diciotto riproduzioni di stampe sul beato.
Il Proprio della Liturgia delle Ore dell’Ordine dei Servi di Maria riporta al 29 maggio, la liturgia propria del beato, offrendo tratti biografici direttamente dalla Vita del Borghese. Riguardo alle scelte applicate per la sua liturgia si rimanda alle annotazioni di Pedro Suarez su Studi Storici OSM 15, (1965) pp. 129-133 e a quelle di Ignazio Calabuig su Proprium Officiorum OSM 1, (1987), pp. 190-191.
Riguardo all’iconografia del beato si trovano indicazioni in A. Savioli, L’iconografia del beato Giacomo Filippo Bertoni da Faenza in Studi Storici OSM 9, (1959), pp. 64-74 (con 14 tavole di immagini) poi riprese anche nel testo sopracitato del Branchesi del 1981.
L’originale della Vita del Borghese, insieme ad altre trascrizioni umanistiche di beati dell’Ordine, è conservato presso l’Archivio Generale dei Servi di Maria a Roma. Il testo latino venne pubblicato su Monumenta OSM, vol. IV (1900-1901), pp. 63-81. Le traduzioni sono reperibili in A. M. Serra, Santorale Antico dei Servi… (1962), pp. 120-127 (testo latino e traduzione italiana a fronte, solo le parti della vita); Il beato Giacomo Filippo Bertoni da Faenza (1454-1483) … (1983), (traduzione della vita e dei miracoli nn. 1-6 e 62); Fonti Storico-Spirituali dell’Ordine dei Servi, vol. II (2002), pp. 477-482 (traduzione della vita e del miracolo n. 62).

fra Emanuele M. Cattarossi
albatrosm2013@gmail.com


[1] Libro dell’entrata e uscita del convento di Faenza dal 1475 al 1484, ms. presso la Biblioteca Comunale di Faenza, sez. Archivi delle Congregazioni Religiose, Padri Serviti, XXIV, n. 208.
[2] W. Ferretti, Stato attuale delle ss. Ossa del beato Giacomo Filippo Bertoni, in Studi Storici OSM 8 (1957-1958), pp. 171-173.
[4] Riguardo alla Chiesa dei Servi in Faenza, alle sue vicende storiche e allo stato attuale si rimanda a questo contributo http://www.historiafaentina.it/Monumenti/chiesa_servi.html [consultato 27.05.2025], anche presente in http://www.marcocavina.com/Architectonica/chiesa_gotica_dei_Servi/00_pag.htm [consultato 27.05.2025].
[5] Così indicato nella tavola VII di A. Savioli, L’iconografia del beato Giacomo Filippo Bertoni da Faenza in Studi Storici OSM 9 (1959), pp. 64-74.